Sempre meno nomi disponibili per la tutela di marchio?

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Armelle Sabba, Linguistic Director


Secondo il WIPO nel 2018 sono state presentate circa 10,9 milioni di domande di registrazione di marchio in tutto il mondo; secondo il World Trademark Review, ogni anno più di sei milioni di aziende e oltre 100.000 prodotti sono lanciati sul mercato, e i numeri sono in forte crescita.

La domanda nasce spontanea: arriverà un momento in cui semplicemente registrare un marchio sarà impossibile? Oppure i nomi disponibili saranno talmente improbabili che sarà controproducente usarli?

In alcuni settori siamo già in una situazione simile. In più, con la facoltà di depositare come titoli di proprietà intellettuale anche forme grafiche e colori, l'affollamento cresce ulteriormente.

La scarsa disponibilità residua è evidente, tra gli altri, nel settore della moda, del quale ho parlato in un mio articolo qualche tempo fa: anche se esistono ambiti di mercato messi decisamente peggio (come la cosmetica o le automobili) nella moda, dove i consumatori del mondo globale, digitalizzato e in continua ricerca di tendenze sono particolarmente attenti, i casi di sovrapposizione risultano bene evidenti sui media e non passano inosservati anche al pubblico generalista.

Se è (quasi) sempre vero che uno stesso nome può esistere ed essere tutelato in ambiti diversi, è difficile pensare che ci sarà spazio per tutti se le registrazioni crescono a questi ritmi. Off-White e Valentino sono solo due degli innumerevoli esempi che offre il settore della moda.

Come ben illustrato da The Fashion Law, la vedono proprio così Fromer e Beebe, due professori dell'NYU, che, analizzando i depositi di oltre 6,5 milioni di marchi registrati dal 1985 al 2016 presso lo USPTO, ritengono che la possibilità di registrare marchi vincenti sul mercato sia limitata e finita, tanto che i brand iniziano con nuove tattiche per allargare il bacino delle possibilità: aggiungere numeri ai nomi, utilizzare esclusivamente numeri, far cascare vocali ai brand name che si vorrebbero registrare ma, semplicemente, non sono disponibili. Per di più altri studiosi della materia giudicano impossibile, oggi, prevedere se questa tipologia di marchi (quelli costituiti ad esempio da consonanti e numeri) si dimostrerà commercialmente valida nel lungo periodo.

Restano a questo punto pochi spazi per il #naming?

Da questa disanima sulla disponibilità di registrazione che va a calare nel tempo mi porto a casa non delle vere e proprie risposte ma alcuni concetti importanti che a mio parere possono guidare i brand nell'impostare la propria strategia di naming.

1. Bisogna osare / Far cadere consonanti o aggiungere numeri è veramente l'unica via per recuperare disponibilità per la tutela legale? La creatività resta la strada maestra nel creare nomi non convenzionali, che si legano a benefici non scontati, che puntano sullo storytelling, rendendo più difficili le sovrapposizioni.

2. Se la tutela porta confusione / Pensiamo a questo esempio: sempre che un brand riesca a depositare il brandname DFND, esistendo già ad esempio Defend, come vuole che sia pronunciato? Uguale all'altro o con uno spelling che ingenererà ulteriore confusione? Non è meglio cercare altrove un termine distintivo per il proprio brand?

3. La tutela non è mai sicura al 100% / I fatti mostrano che, anche con marchi registrati e solidissimi contratti che normano la coesistenza tra nomi simili, contenziosi legali - lunghi e costosi - possono sempre avvenire. Occorre che i brand ponderino volta per volta il vantaggio di avere un nome che funziona rispetto ai rischi anticipabili concernenti opposizioni da parte di terzi o possibili azioni legali.