Chatbot: chiamami col tuo nome

Stiamo assistendo a un momento di particolare entusiasmo da parte delle aziende con la nascita di numerosi chatbot di IA creati ad hoc per assistere i loro clienti. Gli obiettivi di questo investimento sono sia di migliorare l’esperienza del cliente sia di automatizzare i processi ripetitivi e di ridurne i costi operativi. I chatbot sono diventati un trend perché rappresentano una delle principali innovazioni nell'ambito dell'interazione uomo-macchina e dei servizi digitali. Tuttavia nel momento in cui si progetta di creare un chatbot bisogna sin dal principio pensare, come per ogni nascita, al nome che gli si darà. Un nome comunica a diversi livelli: con il suono (fonetica), con la forma (morfologia) e con il significato (semantica). Inoltre, un nome può avere varie forme e toni di voce con diverse sfumature “emotive”. I nomi dei chatbot non fanno eccezione a queste regole. Infatti, ci è parso evidente che l’ampiezza di possibilità di tipi di nomi va di pari passo con le tendenze di naming che abbiamo colto, molteplici e varie che vi illustriamo adesso.

 

Una delle tendenze più popolari in materia di nomi di chatbot è la strada dell’”umanizzazione”. Dare un nome di persona al chatbot mira a renderlo più amichevole e quindi “affidabile” nella psiche degli utenti rispetto a una macchina. I nomi che troviamo sul web vanno dal nome di persona reale al nome di personaggio di finzione. Tra i più famosi ci sono Alexa, l’assistente digitale di Amazon, Amelia, chatbot di Virgin Atlantic ma anche Claude, chatbot di Anthropic o ancora Paolo, in Italia, l’assistente digitale di Banco BPM. Ultimo nonché ironico nome di persona è “l’elementare” Watsonx, la piattaforma di intelligenza artificiale sviluppato da IBM.

 

Seguono questa tendenza tante altre aziende con l’aggiunta del riferimento diretto o indiretto all’azienda madre, molto spesso semplicemente riprendendo una sillaba del nome aziendale. Così troviamo nomi che vanno dal semplice nome proprio al “nomignolo” ancora più simpatico e distintivo. E qui gli esempi non mancano: Erica l’assistente digitale di Bank of America, Stella di Banca Sella, Emilio di Credito Emiliano, Widdy di Widiba e Eno di Capital One, (Eno è speculare di One).  A questi si aggiungono nomi che rimandano all’azienda in modo indiretto con, per esempio, un richiamo alla corporate identity aziendale e ai colori del logo: Blue in quanto il blu è il colore del brand di BBVA e Red in quanto il rosso è il colore del brand di Westpac, per citarne due.

 

Un’altra tendenza molto più scontata poiché non necessita di grandi investimenti è quella dei nomi che rimandano direttamente all’azienda senza il lato “umano”. È la strada più semplice dal nostro punto di vista ma anche la meno distintiva. Si tratta di riprendere il nome dell’azienda e di aggiungervi un suffisso generico di tendenza come “BOT”, "AI" o “GPT”. È il caso di BloombergGPT, FastwebAI o Poste (di Poste Italiane). Una scelta strategica da non sottovalutare.

 

A questa tendenza verso la “semplicità” si aggiunge la strada della descrittività della funzione del chatbot: parlare, assistere, informare... È rassicurante per l’utente poiché dice quello che fa e viene percepito come affidabile per il suo tono di voce serio o neutro anche se meno “caloroso” di un nome di persona. Tra quelli più famosi ci sono: ChatGPT, la star delle chatbot in questo periodo, l’assistente digitale di OpenAI. ChatGPT unisce la funzione (“chat” il dialogo) all’acronimo “GPT” che sta per Generative Pretrained Transformer, una sigla generica, quindi potenzialmente utilizzabile da molti altri. Infatti recentemente OpenAi ha provato a registratre il marchio ed è stato rifiutato dall’ufficio marchi negli USA.  Abbiamo anche altri nomi in questo stile come Copilot, l’assistente digitale di Microsoft o ancora Google Assistant e Replika.

 

Non abbiamo ancora commentato la forma, ma ci sembra evidente che tanti di questi nomi hanno in comune la loro brevità. Molto spesso l’obiettivo dell’azienda è trovare un nome memorizzabile e la strada del nome breve permette all’utente di “dirlo” nel caso dei voicebot o di leggerlo rapidamente. Per questo ci si indirizza verso la strada degli acronimi, un altro trend significativo. È il caso di Coin, l’assistente digitale di JP Morgan, sincrasi di “Contract Intelligent” in quanto supporta i gestori durante le attività di analisi documentale e il nome si collega all’ambito bancario (coin in inglese). Un altro esempio è TOBi, l’assistente digitale di Vodafone (speculare di iBOT) o ancora Llama2 l’assistente digitale di Meta, acronimo per Large Language Model Meta AI, con il rimando alla funzione del chatbot (“chiama” in spagnolo).

 

Altra tendenza di naming, quella che preferiamo per distintività e creatività è la strada dei nomi detti di “fantasia”, nomi con un’evocazione nascosta, una storia da raccontare o un aspetto “colto” non immediato. È il caso di Siri, l’assistente digitale di Apple, in quanto pochi sanno che è ispirato al patrimonio culturale norvegese del suo creatore, Dag Kittlaus, e significa “bella vittoria” in antico norvegese (sigr "vittoria" e fríðr "bella”). Un nome molto coerente per un chatbot il cui compito è fornire la risposta giusta agli utenti. Nello stesso stile ci sono Grok, l’assistente digitale di X ispirato a un personaggio particolarmente empatico del libro di fantascienza di Heinlein e Cortana di Microsoft, che riprende il nome dall'omonimo personaggio della serie di videogiochi per Xbox Halo. Ultimo arrivato è Gemini, il nuovo nome dell’assistente digitale di Google (precedentemente chiamato Bard). Il nome Gemini è stato scelto per il suo rimando etimologico a “gemelli” in latino e per il rimando fonetico con “AI” in inglese (si pronuncia “Geminai”). Perché i gemelli? perché all’origine del progetto ci sono due società, Brain e DeepMind, che hanno lavorato insieme per produrre il massimo della tecnologia avanzata. Insomma, se l’unione fa la forza perché non dirlo con il nome! Nonostante tutti questi siano nomi “creativi”, sono in grado di infondere un senso di familiarità verso i clienti, risultano distintivi e catturano immediatamente l’attenzione.

Concludiamo il giro delle tipologie di naming con un esempio di nome che riflette la personalità o lo stile del chatbot. Un bellissimo esempio creativo e divertente è Woebot il chatbot di aiuto psicologico di Woebot Health. Il nome è una crasi di woe e bot, con “woe” che significa dolore e “bot” robot. L’intelligenza sta nel rimando fonetico alla parola “robot” nella pronuncia anglofona. L’ironia viene usata in contrasto con la concorrenza che ha un approccio e un tono di voce più “serioso” di fronte alla malattia. Qui l’ironia è la forza.

Insomma, sono tantissimi gli stimoli creativi e le tendenze in termini di naming di chatbot in Italia e nel mondo. Che si decida di seguire uno di questi trend o di creare qualcosa di nuovo crediamo che sia importante porsi le domande giuste prima di lanciarsi nella creazione di un nome per il proprio chatbot. La scelta del nome è un processo cruciale che va oltre la mera identificazione dell'assistente digitale. È un'opportunità per comunicare l'identità e il carattere dell'azienda, nonché per stabilire un rapporto immediato e familiare con gli utenti.