Pharma Naming: il percorso a ostacoli dietro ai nomi di farmaci

Premessa: questo non è un tentativo di giustificare i nomi strani, a volte persino brutti, che diamo ai medicinali. È invece un modo per spiegare una volta per tutte perché il pharma naming, cioè il processo di creazione dei nomi di farmaci, sia così complesso da generare denominazioni che spesso sembrano “impossibili”.
Dare un nome a un farmaco non è come scegliere il nome di un biscotto. Nel primo caso, l’obiettivo può essere di stimolare l’appetito, trasmettere sensazioni positive, creare un nome memorabile che faccia sorridere chi lo legge sullo scaffale. Nel pharma naming, invece, niente emozioni forti e niente “wow effect”: serve un nome distintivo (per evitare confusione con altri farmaci), registrabile e, soprattutto, che non metta a rischio la salute delle persone.
Se “Choco Dream” può funzionare benissimo per uno snack, nel pharma naming la creatività deve confrontarsi con regole ferree, banche dati globali e controlli rigorosi. Un nome di farmaco non è mai un atto di pura fantasia: è uno strumento regolatorio, di sicurezza e al tempo stesso un asset strategico. A differenza di altri settori, il naming farmaceutico è un percorso a ostacoli, dove ogni scelta deve rispettare norme stringenti, equilibri comunicativi e sensibilità linguistiche.
Le sfide strutturali del pharma naming
Perché è così complicato dare un nome a un farmaco?
1. Un settore iper-regolamentato
Le agenzie regolatorie (EMA in Europa, FDA negli USA) analizzano i nomi con la lente d’ingrandimento. Non basta che siano diversi da altri già in commercio: devono esserlo al punto da evitare qualsiasi rischio di confusione. Una “svista” in farmacia o una prescrizione mal letta può avere conseguenze serie, e questo basta a spiegare perché la libertà creativa sia così ridotta.
2. Proprietà intellettuale in un mercato saturo
Come se non bastasse, i registri dei marchi (EUIPO, WIPO, USPTO…) sono ormai affollatissimi. Non si tratta solo della classe 5 (farmaceutici): bisogna verificare anche le classi vicine, perché un conflitto legale può bloccare un lancio internazionale con costi da capogiro.
3. Sfide linguistiche e culturali
Un farmaco raramente si ferma ai confini nazionali. Il suo nome deve funzionare (e non risultare ridicolo o offensivo) in molte lingue. Ciò che in Italia suona neutro, in un altro paese può evocare significati indesiderati. E allo stesso tempo il nome deve ispirare fiducia, senza sembrare né troppo tecnico né eccessivamente “commerciale”.
4.Tra scientificità e marketing
Il nome perfetto deve stare in equilibrio tra rigore scientifico e riconoscibilità. Suffissi come -vax- (vaccini) o -mab (anticorpi monoclonali) sono standardizzati, ma non bastano: bisogna trovare un modo per risultare unici senza violare regole né sembrare “fantasiosi”.
5. INN e brand name: una doppia identità
Ogni farmaco ha due identità: l’INN (International Nonproprietary Name), stabilito dall’OMS, e il brand name commerciale. Il secondo non deve mai confondersi col primo, ma deve restare coerente e credibile agli occhi dei professionisti sanitari.
Una questione di scarsità… lessicale
Oltre a questi vincoli strutturali, le società di naming affrontano una sfida ulteriore: la scarsità di opzioni disponibili. Con decenni di approvazioni e registrazioni, intere famiglie di prefissi e suffissi sono ormai saturi. Termini come -med, -pharma, -vir, -lix hanno migliaia di occorrenze, e i concetti universali di vita, forza o equilibrio sono ampiamente occupati.
Per selezionare i candidati, i naming strategist usano strumenti e banche dati:
- POCA (Phonetic and Orthographic Computer Analysis), per valutare la somiglianza con nomi già esistenti;
- database di EMA, FDA e PMDA, per controllare ciò che è già approvato;
- drugs.com e portali simili, utili per monitorare la saturazione di radici e suffissi;
- registri marchi internazionali (EUIPO, WIPO, USPTO), per evitare conflitti legali.
Il risultato? Spesso la prima ondata di proposte viene falciata quasi interamente.
Reinventare la creatività
E allora come si fa? Quando lo spazio sembra esaurito, entra in gioco il re-engineering linguistico:
- Neologismi mirati, che riecheggiano un linguaggio medico pur essendo del tutto nuovi.
- Combinazioni inedite di radici latine, greche, inglesi, spezzate e ricomposte.
- Soluzioni fonetiche non convenzionali, capaci di evitare la confusione con cluster saturi.
- Verifiche cross-culturali, per assicurarsi che il nome funzioni in tutti i mercati strategici.
Il paradosso fertile del pharma naming
Il paradosso del pharma naming è che i vincoli, invece di limitare la creatività, la moltiplicano. Ogni “no” imposto da EMA, POCA o EUIPO costringe a cercare nuove strade linguistiche, fino a creare denominazioni inedite, protette e sicure. Alla fine, il naming in questo settore non è soltanto un esercizio creativo: è un lavoro di resilienza e ingegneria linguistica, capace di trasformare i paletti in leve per inventare linguaggi nuovi. Un po’ meno dolce dei biscotti, certo… ma infinitamente più strategico.