I nomi dei formaggi: il limite legale tra imitazione e invenzione

Avete mai sentito parlare del Camelbert? È un formaggio prodotto in Mauritania con latte di cammella, il cui nome ammicca senza troppi veli al celebre Camembert. Un gioco linguistico gustoso, ma tutt’altro che casuale: nel mondo dei latticini — e in particolare nel mercato dei formaggi europei — i nomi evocativi sono una strategia tanto diffusa quanto rischiosa. Dalla fantasia dei produttori nascono parole che strizzano l’occhio ai grandi classici, ma la linea che separa l’omaggio dall’imitazione può essere sottile, e spesso è la legge a dover decidere da che parte si trovi il confine. In questo articolo esploriamo alcuni dei casi più curiosi di naming imitativo, con un’attenzione particolare ai nomi dei formaggi italiani e alle implicazioni legali legate alle denominazioni DOP e IGP.
Camelbert: il Camembert del deserto
Il Camelbert è forse l’esempio più celebre di creatività “ai margini del lecito”. Il nome nasce dalla fusione di camel (cammello in inglese) e Camembert, il formaggio francese per eccellenza.
La formula funziona: un suono familiare per il consumatore, ma con un tocco esotico e distintivo.
Prodotto anche con il marchio Caravane, il Camelbert è oggi simbolo della casearia innovativa africana — ma il suo nome continua a far discutere in Europa per la sua evidente evocazione del modello normanno.

Cambozola: quando Camembert incontra Gorgonzola
Dalla Germania arriva un altro caso classico di ibridazione: il Cambozola.
Nato dall’incrocio tra la crosta fiorita del Camembert e le venature blu del Gorgonzola, il suo nome è un vero portmanteau: Cam (da Camembert) + bozola (da Gorgonzola).
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto ufficialmente che “Cambozola” evoca la DOP Gorgonzola, dimostrando come la somiglianza linguistica possa avere rilievo giuridico anche senza copia diretta del prodotto.

Reggianito: il Parmigiano in versione argentina
Tra i casi legati all’emigrazione italiana, spicca il Reggianito, formaggio nato in Argentina all’inizio del Novecento grazie ai casari italiani.
Il nome — diminutivo di Reggiano — richiama apertamente il Parmigiano Reggiano, ma il prodotto ha sviluppato una propria identità nel mercato sudamericano.
Tuttavia, all’interno dell’Unione Europea il nome Reggianito non può essere utilizzato: è considerato evocativo della DOP Parmigiano Reggiano e quindi “illegale” perché infrange i diritti della denominazione di origine.

Parmesan: quando la traduzione diventa evocazione
Per decenni Parmesan è stato usato come sinonimo internazionale di Parmigiano Reggiano.
Ma nel 2008 la Corte di Giustizia UE ha stabilito che anche la semplice traduzione di una DOP costituisce evocazione indebita.
Oggi, dunque, la denominazione Parmesan può essere utilizzata solo per prodotti conformi al disciplinare della DOP italiana.
Un caso emblematico che mostra come la tutela linguistica vada ben oltre la forma originale del nome.
Gran Moravia e i “Gran-” italiani: tra evocazione e genericità
Un terreno particolarmente complesso è quello dei nomi con prefissi come Gran- o Grana.
Gran Moravia (formaggio ceco a marchio italiano Brazzale), Gran Biraghi, Grangusto di Galbani: tutti potrebbero richiamare l’universo semantico del Grana Padano.
Ma fino a che punto?
Alcuni tribunali europei hanno considerato “grana” un termine generico riferito alla consistenza del formaggio; altri, invece, lo hanno ritenuto evocativo della DOP Grana Padano.
Il risultato è un’area grigia in cui diritto e marketing si fronteggiano.

Veganzola e Mozzarisella: l’era del formaggio senza latte
Con l’esplosione dei prodotti plant-based, il naming imitativo ha trovato nuova linfa.
- Veganzola → formaggio vegetale ispirato al Gorgonzola. Il nome è stato però annullato in Italia per evocazione indebita.
- Mozzarisella → mozzarella a base di riso germogliato. In questo caso, il suffisso “-risella” ha consentito una distinzione sufficiente a livello commerciale, pur mantenendo un forte richiamo fonetico.
La tendenza dimostra come il linguaggio dei formaggi si stia adattando a nuovi mercati, ma anche come la tutela dei nomi resti un tema sensibile, anche quando il latte non c’è più.

Dolcelatte e Parrano: l’Italian sounding di successo
Due casi di Italian sounding “consapevole”:
- Dolcelatte → creato da Galbani per il mercato britannico, è un erborinato più dolce del Gorgonzola, con un nome che suona autenticamente italiano senza violare alcuna DOP.
- Parrano → formaggio olandese dal gusto “alla parmigiana”, battezzato con il nome di un borgo umbro. Il suo slogan recita: “il formaggio olandese che pensa d’essere italiano”.
Qui il richiamo è evidente, ma trasformato in un elemento di marketing dichiarato.

La doppia sfida: legale e creativa
Dal Camelbert al Parrano, passando per Veganzola e Reggianito, i nomi dei formaggi raccontano un mondo in cui linguistica, diritto e marketing si intrecciano.
Per i produttori italiani, la protezione delle DOP e STG è una questione vitale: anche una semplice assonanza può configurare un’evocazione illegittima. La giurisprudenza è rigorosa in materia di condanna delle evocazioni delle DOP e IGP, poiché questa nozione di evocazione è più flessibile rispetto al rischio di confusione (che si riscontra in un conflitto tra due marchi). Infatti, la nozione di evocazione consiste in un semplice collegamento nella mente del consumatore, il quale, quando si troverà di fronte al nuovo segno, penserà inevitabilmente alla DOP o IGP originariamente protetta.
Per i creativi del branding, invece, la sfida è opposta: inventare nomi che suonino familiari, evocativi e gustosi, senza sconfinare nel territorio proibito delle denominazioni protette.
In un settore dove il valore del nome può pesare quanto il sapore, la lezione è chiara: l’arte di chiamare un formaggio è, oggi più che mai, una questione di equilibrio.